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La Voce di Rimini
21/01/2007

Scontro Socialisti e Arcigay contro genitori e Comitato per i diritti della famiglia
NON C’E’ PACS DOPO L’ASSEMBLEA
Dopo il dibattito sull’omosessualità al liceo Giulio Cesare

RIMINI – Riceviamo e pubblichiamo da parte della Federazione giovani socialisti riminesi: “Scandalo!   Vergogna! Non guardate, bambini! Ci sono i froci! Quanto ci vuole per scatenare l’irosa indignazione della  Rimini benpensante?  A quanto pare, poco. E’ bastata infatti un’Assemblea d’Istituto organizzata dai ragazzi del liceo Classico, Pedagogico e Linguistico della nostra città, e che noi, in quanto Federazione dei Giovani Socialisti Riminesi, abbiamo contribuito ad organizzare contattando i rappresentanti Arcigay Alessandro Tosarelli e Sergio Lo Giudice, e aiutando a delineare il contributo informativo distribuito ai ragazzi (fornendo in questo senso un aiuto disinteressato e lontano da ogni forma di strumentalizzazione, rinunciando ad ogni pubblicizzazione del nostro impegno,come i fatti hanno dimostrato). E questo pare aver scatenato un vero e proprio putiferio: professori che si lamentano per la parti-gianeria del dibattito, genitori che non permettono ai propri figli di andare a scuola,  altri che sull’onda emotiva dello scandalo scrivono ai giornali per lamentarsi delle sevizie subite dai propri ragazzi, altri ancora che paventano un inaccettabile oltraggio al comune sentire. La storia sembra catapultarci dentro un racconto di provincia, cinquanta o sessanta anni fa – più o meno, in un’Italia cattolica di boni mores e buoncostume, di valori realmente sentiti e profonda morale. Una morale oggi tradita proprio da quelle stesse persone che la sbandierano quale fattore determinante ed irri-nunciabile per la società, tentando di imporla agli altri, riempiendosi la bocca di una ridondante aria fritta che ha il sapore stantio dell’ipocrisia e dell’incocrenza. Una morale fanaticamente   proclamata   da   quelle stesse persone che poi, in uno strano concetto di religione-fai-da-te, a Messa ci vanno una volta all’anno – alla mezzanotte di Natale, perché si, dai, ci sono tutti -, da quelle stesse persone che comprano ai propri figli telefonini da cinquecento euro destinati ad essere infarciti di pornografia, che se ne fottono del dilagante dileggio bullistico che avviene nelle scuole – in quella scuola – nei confronti di coloro che hanno mezzi economici inferiori,  da quelle stesse persone che adottano un atteggiamento insopportabilmente arrogante verso chi non è incarcerato in certi canoni sociali, che palesano disprezzo ed odio nei confronti di chi vota dall’altra parte,  di chi viene in Italia ad inseguire il sogno di poter migliorare le sorti delle pro pria esistenza, di chi vive nel privato l’espressione di una individualità caratterizzata da un orientamento omosessuale. Poiché sì, era proprio questo l’argomento (votato e approvato dal Comitato di Base, massimo organo democratico a disposizione degli studenti nelle scuole secondarie superiori), su cui doveva vertere l’assemblea: l’omosessualità nel suo rapporto con la società. E chi doveva esporre le tante problematiche di una società non ancora in grado di cogliere ed accogliere senza discriminazioni gli individui capaci di una differente sensibilità rispetto al comune sentire? Un uomo della strada, un politico, un sacerdote? Oppure chi quelle problematiche le vive sulla propria pelle, giorno dopo giorno, portatore della croce di una colpa mai commessa? Appaiono dunque incomprensibili, schifosamente  incomprensibili le reazioni che in questi giorni hanno scosso l’opinione pubblica locale, tutte volte a condannare il lavoro e l’impegno di tante ragazze e ragazzi che cercano di levarsi dal qualunquismo del luogo comune, approfondendo i temi che caratterizzano la nuova dimensione del vivere  civile, tentando di evitare in ogni modo di ridurre il dibattito ad una sterile rissa dialettica. Ma il problema non risiede tanto nella infondata accusa di una presunta mancanza di democraticità di una assemblea che, repetita iuvant, non era un confronto  politico ma una  iniziativa volta a rispondere ad una precisa volontà di  approfondimento e conoscenza. Il problema è di natura culturale. Occorre comprendere come non sia possibile raggiungere una reale crescita,dell’individuo e della comunità in cui ci si trova a vivere, se si decide di richiudersi entro le unità basilari di una ristretta elite sociale, rinunciando all’inalazione di quei germi positivi dell’interscambio e del confronto con esperienze di vita differenti, brandendo un tronfio moralismo fumosamente mutuato da una indefinita  “tradizione”, funzionale al solo scopo di giustificare la propria paura ed acrimonia nei confronti del “diverso”. E invece si aggira la questione, volutamente la si dimentica, ci si attacca ad un politically correct tenacemente preteso da persone evidentemente abituate a fare entrare la politica nelle scuole, tradendo la stessa funzione di educazione obiettiva che nella scuola pubblica sola risiede. Il fatto preoccupante,  ed oramai inaccettabile,  è  che troppo spesso, in certi ambienti, troppi genitori sono colpiti da una moralità intermittente che li porta a vedere solo ciò che vogliono vedere, a lagnarsi solo quando le cose non si muovono nella direzione voluta, ma a guardarsi bene dall’alzare una ben che minima voce di protesta quando un professore palesa un’appartenenza politica o ad una setta religiosa affine alla propria, scandalizzandosi se però poi si trattano temi dei quali si vorrebbe negare financo l’esistenza, o se due ragazzi omosessuali raccontano la loro esperienza di vita. Ma se invece i genitori si dedicassero ad educare i loro figli in maniera sana, piuttosto che a inveire contro chi “deturpa” la loro “innocenza”, non sarebbe forse meglio, per tutti?”

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I membri locali e nazionali dell’associazione gay “Il pregiudizio e la diffidenza verso la diversità non sono una semplice opinione”

RIMINI – Riceviamo e pubblichiamo la risposta di Alessandro Tosarelli, presidente Comitato provinciale Arcigay Rimini e Sergio Lo Giudice, presidente Arcigay nazionale alle affermazioni di Ermes Rigon, presidente regionale del Comitato per i diritti della famiglia, intervistato nei giorni scorsi per La Voce da Claudio Monti:

”Le parole di Ermes Rigon sono un capolavoro di ipocrisia, che partono dalla falsificazione della realtà e, passando da automatismi discriminatori, raggiungono la velata offesa nei confronti sia degli studenti organizzatori che dei partecipanti al dibattito avvenuto al Giulio Cesare.
Rigon dice di essere ‘imparziale’, ma l’imparzialità non può essere detenuta da un soggetto unico proclamatosi ‘imparziale’. Noi imparziali non siamo, perché siamo dalla parte di quelle persone discriminate a vario titolo come singoli, o come coppie che per motivi di scelta, necessità o di impossibilità non danno regolarità di legge alla loro unione.
Tra le righe filtra inoltre una discriminazione automatica, verso le ‘assolute minoranze’, delle quali non solo non bisognerebbe ricevere e valutare le richieste, ma che nemmeno andrebbero ascoltate. In quanto appunto minoranze ‘assolute’, come possono essere, pare di capire, le persone con i capelli rossi, i calciatori, gli insegnanti. O le persone omosessuali.
Si rasenta l’offesa personale quando afferma che, in un caso limite, di omosessualità si può sì parlare, ma non certo con il presidente di Arcigay! Ci chiediamo se invece la sua intenzione non sia piuttosto quella di sollevare i giovani dalla (nobile) fatica di formarsi una individualità autonoma e delle opinioni personali, e solo perché queste opinioni potrebbero non essere conformi alle sue.
Il pregiudizio e la diffidenza verso la diversità non sono una semplice opinione, ma a volte si concretano in atti di esclusione e discriminazione, un vero e proprio mobbing. E’ stato riscontrato che il bullismo a scuola ripropone le stesse dinamiche di oppressione sociale e le vittime sono spesso persone che fanno parte di gruppi socialmente stigmatizzati (le donne, le persone sovrappeso o quelle appartenenti a minoranze etniche o sessuali, ecc.).
E’ ora di smettere di giustificare questi comportamenti come bravate e ragazzate e considerarli per quello che realmente sono, e cioè atti violenti a tutti gli effetti, e iniziare a combatterli efficacemente.

Alessandro Tosarelli
presidente Comitato provinciale Arcigay Rimini

Sergio Lo Giudice
presidente Arcigay nazionale

Riferimenti sul bullismo:

Il progetto “Bulli in Ballo” contro il bullismo nelle scuole promosso dalla regione Marche e da Arcigay Ancona ha coinvolto quasi 2500 studenti e studentesse appartenenti agli istituti superiori della regione, ragazzi tra i quali uno/a su 20 dichiara di essere gay e/o lesbica e 1 su 25 di essere immigrato.
La ricerca Bulli in Ballo è nata per valutare in che misura nelle scuole superiori della regione Marche fossero presenti atti di discriminazione da parte di ragazzi a danno dei loro coetanei. Gli studenti, hanno sottolineato di aver assistito spesso a situazioni di offesa verbale, di aggressione fisica e di discriminazione nei confronti di persone omosessuali (41%), di individui immigrati (31% ) o di ragazze (33%).
Nelle scuole gli/le alunni/e omosessuali sono esposti quotidianamente a manifestazioni di omofobia: commenti verbali dispregiativi verso persone omosessuali o presunte tali, sanzioni verso certi comportamenti considerati inappropriati (“Dai non fare il frocio!”), soprusi fisici e a volte anche sessuali. Una curiosa ricerca di un’associazione di insegnanti ha dimostrato che un alunno sente al giorno a scuola almeno venti parole o battute antigay (GLSTN, 1997) e un’indagine italiana su giovani omosessuali, maschi e femmine, ha verificato che il 70-80% ha subito insulti verbali e il 30% anche soprusi e maltrattamenti fisici (Pietrantoni, 1996).
Ciò dimostra che gli episodi di bullismo nelle scuole sono molto più diffusi di quello che si pensi. Negli alunni omosessuali oggetto di bullismo è frequente una progressiva perdita della motivazione scolastica, dell’autostima e una maggiore preoccupazione per la propria sicurezza.

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Il prof sui tacchi a spillo
“I patti di convivenza sono un pasticciaccio”

RAVENNA – Il prof sui tacchi a spillo (“ma erano sabot”) ci ha preso gusto. Al suo ruolo di google-celebrity Vincenzo Di Grazia ora sembra proprio non volere rinunciare. Aggrappato al vello dell’informazione – la stessa che aveva messo in piazza – spinge per uscire dalla grotta dell’anonimato di ritorno. Lui, prof senza seguito. Sospeso dopo i filmati che su internet lo mostravano in abiti da donna approssimarsi ai suoi studenti dell’alberghiero di Cervia. Era seguita la celebrità mediatica, per sua natura effimera. Ma lui ora ci riprova con aforismi a tutto tondo, che passano da “Lapo senza lapis” all’androginia “come forma della mente” occhieggiando al “menestrello Sgarbi”. A proposito di Sgarbi: il critico d’arte aveva dichiarato, in un’intervista su Di Grazia, di assolverne in pieno il comportamento. E il professore d’italiano aveva fatto sapere di voler lavorare proprio al suo fianco, nel settore dell’arte e dell’estetica. Ma ora, a dimostrazione della sua smania di egocentrismo, si definisce addirittura meglio del critico: “E’ più bravo di Sgarbi -scrive riferendosi a se stesso – ha letto più libri di Mentana e Montezemolo messi insieme ed è il vero uomo Vogue”. Accenni alla celebre rivista di moda infarciscono le parole del professore, che dice di meritarsi le copertine sia di Vogue uomo che di Vogue nonna. Motivo? L’androginia che si affibbia, appunto, “segreto della bellezza e della vita”, “essenza di figura tradizionale”,   “doppia  e  volutamente  ambigua”. Sempre raccontando se stesso in una sorta di delirio letterario fatto di titoli di opere, autori, personaggi della cultura e dello spettacolo, dice: “E’ un androgino che sale e scende le scale, inimitabile, unico e irripetibile, nel grande vetro dell’alberghiero”. Infine, un po’ di politica. Chi si aspettava un Di Grazia più che favorevole ai pacs, dovrà ricredersi. Il professore è contrario:  “I pacs sono un pasticciaccio, sia a destra che a sinistra”. Troppo poco anarchici, forse, per uno come lui.

Silvia Manzani

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